Economia circolare: gli interpelli ambientali

2022-09-10 06:41:28 By : Mr. Dave jin

Il Ministero della transizione ecologica ha dato risposta ai quesiti in materia di “Economia circolare” nella sezione omonima della pagina “Informazioni ambientali” che riporta tutti gli interpelli ambientali che il MiTe è tenuto a riportare ai sensi del nuovo art. 3 septies del D.Lgs. n.152/2006, Testo Unico Ambiente (come modificato dal DL Semplificazioni che ha introdotto la procedura di interpello ambientale).

Con Interpello 91241 del 21 luglio 2022 il Ministero della transizione ecologica attraverso la Direzione Generale per l’economia circolare risponde ad un interpello relativo alle procedure di recupero delle cialde presso i rivenditori, alla luce della normativa del Codice Ambiente.

Il quesito presentato da Confcommercio riguarda la pratica di alcune aziende operanti nel settore della produzione e vendita delle capsule di caffè, che hanno iniziato a ritirare, presso i propri negozi e da parte dei clienti, capsule di caffè esausto, analogamente a quanto avviene anche in altri “spontanei” centri di raccolta (ad esempio nelle società di gestione delle macchine distributrici di caffè negli uffici.

Molti rivenditori hanno iniziato ad utilizzare un sistema che, in automatico, separa la capsula (in alluminio o plastica) dal suo contenuto (caffè esausto). In questo modo, con questo processo interno, si ottengono materiali (alluminio – plastica – caffè esausto) da potersi destinare al reimpiego/riutilizzo.

Secondo la Direzione Economia circolare la pratica in uso presso i cd. “centri per il riuso” pur rappresentando un chiaro esempio di incentivo all’economia circolare, nonché una buona pratica da rafforzare, non costituisce uno strumento idoneo alla raccolta e al trattamento dei rifiuti di capsule di caffè esausto.

L’operazione effettuata, per come rappresentata nel quesito, e secondo quanto definito dell’art.183, comma 1 lett. q), non configura neanche un’operazione di “preparazione per il riutilizzo”, in quanto la separazione delle componenti caffè esausto – capsula (in plastica o alluminio), a prescindere che queste componenti una volta separate, siano inviate a smaltimento o a recupero (chiamato impropriamente riutilizzo), non genera prodotti idonei ad essere reimpiegati senza altro pretrattamento.

Secondo il Ministero, si potrebbe altresì parlare di “preparazione per il riutilizzo” solo se la capsula di caffè esausto, tramite operazioni di controllo, pulizia, smontaggio e riparazione, venisse riportata allo stato iniziale, tale da poter essere reimpiegata senza altro pretrattamento (operazione che potrebbe porre anche problemi di natura igienico- sanitaria).

Secondo la Direzione Economia circolare si tratta dunque di un’operazione per cui il caffè esausto contenuto nella capsula viene inviato a compostaggio mentre l’alluminio/plastica della capsula medesima a riciclo. Per tali motivi, l’operazione di “disassemblaggio” della capsula di caffè esausto, si configura come un’operazione di “trattamento” di rifiuti, che può avvenire esclusivamente in appositi impianti autorizzati, anche ai sensi dell’art. 208 del D.lgs. n. 152/2006.

Prosegue la Direzione generale Interpelli che

Infine, in merito al decreto attuativo relativo alle operazioni di “preparazione per il riutilizzo”, previsto l’articolo 214-ter, comma 2, del D.lgs. n. 152/2006, “Determinazione delle condizioni per l’esercizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo in forma semplificata”, il Mite segnala che è attualmente al vaglio del Consiglio di Stato per il parere ai sensi dell’art.17, comma 4 della Legge 400/88, ed è stato altresì notificato alla Commissione Europea ai sensi della direttiva (UE) 2015/1535.

Con Interpello la Regione Abbruzzo chiede un chiarimento generale all’applicabilità della normativa della parte quarta del D.lgs. 152/2006 in materia di rifiuti, alle fasi successive alle operazione di R12 (Scambio di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate da R1 a R11) o D13 (Raggruppamento preliminare) sui seguenti rifiuti pirotecnici: EER 16 01 10 (ad esempio “air bag”), 16 04 01, 16 04 02, 16 04 03. Le operazioni a cui ci si riferisce, consistono nella distruzione della parte esplosiva, o dell’intero rifiuto laddove, non fosse possibile asportare in sicurezza le altre parti in impianti (detti Cantieri di Scaricamento) autorizzati ai sensi del R.D. n. 635 del 6.5.1940

I rifiuti pirotecnici sono i rifiuti prodotti dall’accensione di pirotecnici di qualsiasi specie e gli articoli pirotecnici che abbiano cessato il periodo della loro validità, che siano in disuso o che non siano più idonei ad essere impiegati per il loro fine originario.

In base alla Direttiva 2013/29/UE che nello specifico all’articolo 3, riporta: 1) «articolo pirotecnico»: qualsiasi articolo contenente sostanze esplosive o una miscela esplosiva di sostanze destinato a produrre un effetto calorifico, luminoso, sonoro, gassoso o fumogeno o una combinazione di tali effetti grazie a reazioni chimiche esotermiche automantenute; 2) «fuoco d’artificio»: un articolo pirotecnico destinato a fini di svago; 3) «articoli pirotecnici teatrali»: articoli pirotecnici per uso scenico, in interni o all’aperto, anche in film e produzioni televisive o per usi analoghi; 4) «articoli pirotecnici per i veicoli»: componenti di dispositivi di sicurezza dei veicoli contenenti sostanze pirotecniche utilizzati per attivare questi o altri dispositivi; 5) «munizioni»: i proiettili e le cariche propulsive nonché le munizioni a salve utilizzati in armi portatili, altre armi da fuoco e pezzi d’artiglieria.

Il Ministero ricapitola la normativa di riferimento per lo smaltimento dei rifiuti pirotecnici:

Secondo il Ministero, esclusivamente i rifiuti aventi EER 16 01 10 (ad esempio “air bag”) e EER 16 04 02 rientrano nell’ambito di applicazione della gestione dei rifiuti, mentre quelli identificati con EER 16 04 01* e EER 16 04 03*, sono esclusi per definizione. Quindi, secondo il MiTE gli impianti che intendano trattare e smaltire i rifiuti da articoli pirotecnici per come definiti nella Direttiva 2013/29/UE, in virtù della persistente capacità esplodente, devono essere autorizzati sia ai sensi della normativa ambientale sia a quella relativa alla pubblica sicurezza (TULPS)

Con istanza di interpello è stato richiesta interpretazione sulla corretta applicazione dell’articolo 184-bis del d.lgs. 152/06 con riferimento al documento “Linee Guida per la gestione delle scorie nere di acciaieria a forno elettrico” adottate dalla Regione Lombardia con DGR n. XI/5224 del 13/09/2021.

Il Documento intende agevolare i produttori che scelgono di gestire i residui di produzione come sottoprodotti ed anche le Autorità competenti che possono rilasciare autorizzazioni caso per caso per il riciclo dei rifiuti come End of Waste.

Secondo la Direzione Generale Economia circolare Le Linee guida lombarda sono condivisibili come documento finalizzato alla gestione circolare di alcuni dei principali residui delle attività siderurgiche/metallurgiche presenti sul territorio regionale sia per quanto riguarda la gestione del residuo come sottoprodotto, che come rifiuto da recuperare (EoW).

La scoria oggetto delle Linee Guida costituisce il principale residuo che si origina dai processi produttivi dell’acciaio, sia come sottoprodotto e sia come rifiuto che cessa di essere tale (End of Waste).

Ci sono però aspetti strettamente tecnici del documento che la Direzione evidenzia a seguito dell’esame effettuato da Ispra a supporto tecnico:

Con  Interpello 1° giugno 2022, prot. n. 69279 il Ministero conferma la possibilità di autorizzare, ai fini della cessazione della qualifica di rifiuto, il recupero dei rifiuti di carta e cartone mediante lo svolgimento dell’attività R12, e nel rispetto dei criteri di cui all’articolo 3 del dm 188/2020, ovvero in conformità alle disposizioni della norma Uni En 643 ed ai requisiti tecnici riportati all’allegato 1 del Decreto.

La provincia proponente il quesito voleva conoscere la corretta applicazione del decreto ministeriale 22 settembre 2020, n. 188 (sulla cessazione della qualifica di rifiuto) per poter definire l’iter autorizzativo per un impianto che deve sottoporre ad attività di recupero, finalizzata alla cessazione della qualifica di rifiuto, i rifiuti di carta e cartone mediante l’attività R12 di cui all’allegato C alla parte IV del d.lgs. 152/06.

La Provincia chiede di valutare la possibilità di autorizzare l’attività di recupero mediante l’operazione R12 visto che il regolamento ministeriale sulla cessazione della qualifica di rifiuto non riporta le specifiche operazioni di recupero ammissibili.

Il Ministero spiega che con Decreto ministeriale 188/2020, per la produzione di carta e cartone recuperati sono ammessi le tipologie di rifiuto con i seguenti codici EER:

Per approfondire sul decreto, leggi il nostro approfondimento:

Secondo il Ministero all’operazione R12, di cui all’Allegato C del d.lgs. 152/06 è stata associata la nota riportata al punto 7, la quale stabilisce che, in mancanza di un codice R appropriato, l’operazione può comprendere le operazioni preliminari precedenti al recupero, fra le quali

prima di una delle operazioni da R1 a R11.

Alla luce di questo è possibile autorizzare, ai fini della cessazione della qualifica di rifiuto, il recupero dei rifiuti di carta e cartone mediante lo svolgimento dell’attività R12,

Con Interpello n.56467/2022 il Ministero risponde ad un quesito proveniente da un Comune del Lazio sull’obbligo di gestione degli pneumatici fuori uso ed i relativi contributi

In base alle disposizioni contenute nell’articolo 228 del TUA, i produttori e gli importatori degli pneumatici sono tenuti a provvedere, singolarmente o in forma associata, alla gestione di quantitativi di pneumatici fuori uso equivalenti al 95% del peso di quelli dai medesimi immessi sul mercato nell’anno precedente.

La copertura dei costi relativi a tale onere è assicurata da un contributo a  carico degli utenti finali. Il produttore o l’importatore determinano e applicano il rispettivo contributo vigente alla data della immissione del pneumatico nel mercato nazionale del ricambio.

Secondo il Ministero, questo contributo, parte integrante del corrispettivo di vendita, va assoggettato ad IVA e rimane  invariato in tutte le successive fasi di commercializzazione del pneumatico con l’obbligo, per  ciascun rivenditore, di indicare in modo chiaro e distinto in fattura il contributo pagato all’atto  dell’acquisto.

L’obbligo di applicazione del contributo nelle fasi successive a quella dell’immissione sul mercato del ricambio, ossia il momento in cui lo pneumatico è oggetto per la prima volta di vendita per la distribuzione, o per il consumo o uso sul mercato nazionale, non può essere derogato qualora lo pneumatico sia successivamente trasferito ad un mercato diverso.

La commercializzazione degli pneumatici senza indicazione del contributo in fattura non consente al distributore/rivenditore di ottenere il rimborso del contributo già corrisposto.

Viceversa, ai sensi dell’art 6, comma 5 del DM 182 del 2019 il rimborso del contributo può essere richiesto dal rivenditore che ha esportato gli pneumatici, al proprio fornitore entro e non oltre 6 mesi dalla data indicata nella fattura d’acquisto emessa da detto fornitore relativamente agli pneumatici oggetto di esportazione, allegando la documentazione che ne comprova l’avvenuta esportazione, tra cui gli estremi della fattura emessa per l’esportazione e quelli del documento di trasporto al di fuori del territorio nazionale.

Con Interpello n.28965/2022 il Ministero chiarisce sul ritiro di rifiuti urbani prodotti da utenze domestiche da parte di imprese di recupero che agiscono al di fuori del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani.

La Regione Piemonte chiedeva se

Il Ministero della transizione ecologica risponde ai diversi quesiti. Li raccogliamo nelle principali domande alle quali il Ministero fornisce una specifica risposta.

Le attività di raccolta e di trasporto dei rifiuti urbani, indipendentemente che essi siano destinati allo smaltimento (in regime di privativa) o al recupero (libero mercato), rientrano nella competenza dei comuni ovvero degli Enti di Governo di Ambito Territoriale Ottimale (EGATO), anche ai fini del raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata dei rifiuti urbani. I cittadini siano tenuti a conferire i propri rifiuti nell’ambito del servizio di raccolta pubblico e non possano autonomamente scegliere soggetti diversi dal gestore, individuato dall’amministrazione, per il ritiro degli stessi.

Il Ministero a proposito del secondo quesito ricorda che il D. Lgs. 3 settembre 2020, n. 116 ha introdotto l’articolo 185-bis, con il quale sono state definite le condizioni necessarie per effettuare il  raggruppamento dei rifiuti, ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero o smaltimento, come deposito temporaneo. Possono effettuare tale deposito anche ai distributori, presso i locali del proprio punto vendita, esclusivamente per i rifiuti soggetti a EPR. Per la pianificazione del servizio integrato di gestione dei rifiuti, della tracciabilità e del raggiungimento degli specifici obiettivi di raccolta e di recupero, le modalità di gestione dei depositi temporanei prima della raccolta dei rifiuti sottoposti a regime di EPR, dovrebbe essere opportunamente regolata mediante accordi tra distributori, sistemi di gestione individuali o collettivi, e comuni ovvero gli EGATO, laddove costituiti ed operanti.

Quanto alla gestione selettiva delle bottiglie in PET per uso alimentare, il Consorzio CORIPET ha messo in atto un apposito sistema finalizzato, che prevede la stipula di un accordo con l’Anci con il quale è disciplinato anche il flusso sperimentale della raccolta selettiva delle bottiglie in PET, stabilendo la cornice per l’installazione degli ecocompattatori su suolo pubblico e privato. Il Consorzio, quindi, con le medesime finalità sopra riportate, è tenuto a comunicare ai Comuni, sottoscrittori delle convenzioni, i dati sulla performance di intercettazione dei  singoli ecocompattatori installati, che saranno conteggiati e sommati a quelli della raccolta RD  tradizionale ai fini del raggiungimento degli obiettivi di legge e del rispetto del Piano Economico  Finanziario per la determinazione della tariffa.

Per quanto attiene le raccolte dedicate di altre particolari tipologie di rifiuti in particolare le AEE, il Ministero richiama l’articolo 11, del Decreto Legislativo n. 49/2014, che dispone l’obbligo per i distributori di assicurare, al momento della fornitura di una nuova apparecchiatura elettrica ed elettronica (AEE) destinata ad un nucleo domestico, il ritiro gratuito, in ragione di uno contro uno, dell’apparecchiatura usata di tipo equivalente. Costituisce fase della raccolta anche il deposito preliminare dei RAEE, effettuato dai distributori presso i locali del proprio punto vendita al fine del loro trasporto presso i centri di raccolta comunali o presso i centri di raccolta autorizzati, ai sensi degli articoli 208, 213 e 216 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, o presso impianti autorizzati al trattamento adeguato.

In modo analogo, l’articolo 4 del Decreto Ministeriale n. 121/2016, dispone che i distributori effettuino il ritiro dei RAEE di piccolissime dimensioni provenienti dai nuclei domestici, a titolo gratuito e senza obbligo di acquisto di AEE di tipo equivalente (criterio dell’uno contro zero) all’interno dei locali del punto di vendita del distributore. Il ritiro dei RAEE, presso i distributori o presso i centri di raccolta comunali, nei quali è organizzata la raccolta di tali tipologie di rifiuti da parte dei Comuni, obbligati ad assicurare la funzionalità e  l’adeguatezza dei sistemi di raccolta differenziata dei RAEE provenienti dai nuclei domestici, è garantito dai produttori sulla base di apposite convenzioni stipulate con i sistemi individuali ovvero con il Centro di Coordinamento, nel caso dei sistemi collettivi. È evidente, chiude il MiTE che un tale sistema consente la tracciabilità dei RAEE e il conseguente monitoraggio dei  quantitativi ai fini del raggiungimento degli obiettivi stabiliti dalla norma.

Per approfondire in materia di gestione dei RAEE

Due nuovi interpelli presentati al Ministero della Transizione ecologica hanno riguardato l’art. 3-septies D.Lgs. 152/2006 sulla classificazione dei rifiuti decadenti dal trattamento dei rifiuti urbani per il loro successivo smaltimento in siti di discarica.

I due Comuni hanno chiesto se

Il Ministero richiama la disciplina applicabile nella risposta all’interpello: l’art. 18 e 182-bis e 184 del Codice Ambiente.

Secondo il Ministero, anche operazioni di mero trattamento meccanico possono apportare modifiche al rifiuto, se non dal punto di vista chimico, quantomeno da quello fisico. Pertanto, per qualsivoglia tipologia di rifiuto, pur in mancanza di obblighi normativi, una chiusura del ciclo il più vicina possibile al luogo di produzione, in una logica di prossimità ed in coordinamento con il criterio di specializzazione degli impianti, può rappresentare la migliore soluzione volta a garantire un alto grado di protezione dell’ambiente e della salute pubblica.

Il nuovo interpello presentato alla Direzione generale riguarda le disposizioni del Codice Ambiente in materia di discariche e registri di carico e scarico dei rifiuti. Si chiede di chiarire in merito a

Il momento in cui il gestore è tenuto a consegnare la documentazione all’ente che ha rilasciato il titolo abilitativo all’esercizio dell’impianto, sia nella norma previgente al D.lgs. 205/2010 che nella norma vigente (Codice Ambiente), è riconducibile alla conclusione della  gestione post-operativa dell’impianto medesimo, spiega il Ministero nella risposta all’interpello.

L’art. 190 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, indica il “tempo indeterminato” per la tenuta del registro di carico e scarico da parte del gestore della discarica, così da garantire una corretta gestione dei rifiuti in tutte le fasi, dal produttore al trasportatore e ai destinatari addetti allo smaltimento. Inoltre, prevede un flusso di gestione documentale che tenga traccia di tutte le informazioni a garanzia della correttezza del procedimento in relazione alla quantità e qualità dei rifiuti, al percorso di trasporto, all’identificazione degli attori del processo.

Ricorda il Ministero che anche l’Autorità che ha rilasciato l’autorizzazione è tenuta a conservare la documentazione (registri di carico e scarico) consegnata dal gestore, per un tempo sufficiente a garantire l’accessibilità all’informazione ambientale nel caso di necessità di un qualsiasi soggetto che ne faccia richiesta.

Ricorda altresì il Ministero che quando i registri di carico e scarico vengono acquisiti dall’autorità competente, costituiscono un documento amministrativo detenuto dalla pubblica amministrazione e rientrano nella disciplina prevista dal DPR 28 dicembre 2000, n. 445 (il “Testo Unico in materia di documentazione amministrativa”). In base all’articolo 68 del DPR 445/2000, è prevista l’adozione da parte di ogni amministrazione di un proprio piano di conservazione, integrato con il sistema di classificazione degli atti, in cui definire i tempi di conservazione della documentazione prodotta ed acquisita, superati i quali è possibile procedere ad operazioni programmate ed organiche di selezione e scarto.

Il quesito presentato al Ministero dell’Ambiente riguarda criteri costruttivi relativi alla copertura superficiale finale delle discariche già autorizzate.

I nuovi criteri costruttivi relativi alla copertura superficiale finale, introdotti con il Decreto Legislativo 121/2020, possono essere applicati anche a discariche autorizzate con i precedenti requisiti o si applicano solamente alle nuove discariche per le quali siano attuate anche le modifiche sul fondo di discarica ai sensi del D.Lgs. 121/2020.

Approfondisci sul Decreto nell’articolo di analisi!

Secondo il Ministero, l’articolo 2 del decreto legislativo n. 121 del 2020, dispone l’applicazione delle norme specificate all’articolo 1, lettere i), n) e o), alle discariche di nuova realizzazione, nonché alla realizzazione di nuovi lotti delle discariche esistenti le cui domande di autorizzazione siano state presentate dopo la data dell’entrata in vigore dello stesso decreto legislativo. La norma quindi, nulla dispone relativamente alle discariche esistenti già autorizzate per le quali non si intenda realizzare nuovi lotti, lasciando quindi alla discrezionalità del gestore dell’impianto di discarica la scelta di procedere alla copertura finale per come progettata e già autorizzata, ovvero di presentare all’autorità competente al rilascio del titolo abilitativo una proposta di modifica della copertura finale con adeguamento ai nuovi criteri costruttivi.

Quest’ultima ipotesi non è quindi preclusa per le discariche esistenti, purché le scelte progettuali siano in linea con le disposizioni di nuova introduzione e che le stesse garantiscano la tutela dell’ambiente e della salute, senza alcun pregiudizio per la gestione post operativa della discarica

Il Ministero dell’Ambiente risponde ad una richiesta di interpello della CONFETRA, Confederazione Generale Italiana dei Trasporti e della Logistica, sulla corretta attribuzione del codice del rifiuto prodotto da una prima lavorazione degli PFU, comunemente denominato “ciabattato”. Risponde la Direzione generale Economia circolare (qui il testo dell’interpello completo)

Il codice appropriato da attribuire al ciabattato risulta il 19 12 04, in quanto rifiuto a base di gomma prodotto dalla triturazione degli PFU effettuata in un impianto di trattamento meccanico dei rifiuti.

Il codice 16 01 03 è attribuito esclusivamente all’intero pneumatico fuori uso

Il ciabattato è prodotto da un processo di recupero che avviene attraverso la frantumazione degli pneumatici e l’estrazione dell’acciaio in essi contenuto, da cui si ottiene una miscela di materiali di pezzatura variabile.

In particolare, il ciabattato rientra nella voce “shreds” (ciabatte) della norma EN 14243-1:2019, dimensioni tipicamente comprese tra i 20 e i 400 mm, e si differenzia dai materiali con pezzatura elevata (dimensioni tipicamente superiori ai 300 mm), indicati alla voce “cuts” (taglio primario) della stessa norma EN.

Considerate le dimensioni del materiale detto “chips” (cippato), tipicamente superiori ai 300 mm, indicate nella suddetta norma EN, una quota di cippato rientra nella classe dimensionale del ciabattato e, pertanto, quest’ultimo può essere considerato come una miscela eterogenea di materiali più grossolani e di materiali più fini.

Sebbene la frantumazione non comporti una sostanziale variazione della composizione complessiva degli pneumatici fuori uso di origine, il ciabattato che ne deriva per effetto del trattamento, ha caratteristiche fisiche diverse rispetto agli PFU stoccati in cumulo, almeno in termini di forma e di pezzatura dimensionale, che ne determinano, ad esempio, un differente comportamento al dilavamento e alla propagazione della combustione e, dunque, differenti modalità gestionali ed operative.

In generale, infatti, i cumuli di PFU presentano spazi interni e percorsi dove l’aria circolante può facilitare la diffusione delle fiamme. Alla luce di quanto esposto, il codice appropriato da attribuire al ciabattato risulta il 19 12 04, in quanto rifiuto a base di gomma prodotto dalla triturazione degli PFU effettuata in un impianto di trattamento meccanico dei rifiuti, altresì il codice 16 01 03 è attribuito esclusivamente all’intero pneumatico fuori uso.

Il Ministero della transizione ecologica risponde con un nuovo interpello al Comune di Campobello di Mazara (TP) sull’iter autorizzativo finalizzato alle attività di trattamento del percolato di discarica con riferimento al decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 che attua in Italia la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti.

Con istanza di interpello, il Comune di Campobello di Mazara (TP) ha richiesto un’interpretazione sulla corretta applicazione del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 per definire l’iter autorizzativo finalizzato alle attività di trattamento del percolato di discarica, mediante la circolazione dello stesso all’interno di una delle vasche dell’impianto di smaltimento, prima del recapito in fognatura.

Secondo il Ministero, il Decreto 36/2003 stabilisce che il percolato ed eventuali acque di ruscellamento dirette sul corpo dei rifiuti devono essere captati, raccolti e smaltiti per tutto il tempo di vita della discarica (gestione e post gestione), secondo quanto stabilito nell’autorizzazione, e comunque per un tempo non inferiore a 30 anni dalla data di chiusura definitiva dell’impianto.

Inoltre, con riferimento all’Allegato 1 punto 2.3, segnala che “Il percolato prodotto dalla discarica e le acque raccolte devono essere preferibilmente trattati in loco in impianti tecnicamente idonei. Qualora particolari condizioni tecniche impediscano o non rendano ottimale tale soluzione, il percolato potrà essere conferito ad idonei impianti di trattamento autorizzati ai sensi della vigente disciplina sui rifiuti o, in alternativa, dopo idoneo trattamento, recapitato in fognatura nel rispetto dei limiti allo scarico stabiliti dall’ente gestore”.

Per questo, ricorda il MiTE,

Il percolato di discarica è identificato nell’elenco europeo dei rifiuti nel subcapitolo 19 07 con una voce specchio e, pertanto, l’idoneità all’eventuale trattamento deve essere subordinata, comunque, alla caratterizzazione necessaria a verificare la sussistenza o meno delle caratteristiche di pericolo.

Nell’interpello una società intermediatrice di rifiuti chiede di sapere quale sia la corretta interpretazione da dare all’art. 208 comma 14 del Testo unico Ambiente (D.Lgs n. 152/2006) ed al rinvio che in esso viene fatto alla Legge n° 84/1994 e quanto sono estese le competenze attribuite dal Legislatore nazionale alle Autorità di Sistema Portuale (o le Autorità Marittime laddove le prime non siano presenti) con la Legge, chiarendo se la competenza delle stesse possa spingersi anche ad autorizzare, come è accaduto nel caso prospettato, operazioni di stoccaggio di rifiuti in aree demaniali assimilabili alle operazioni di messa in riserva R13.

Occorre sempre un atto dell’autorità territorialmente competente in materia di autorizzazioni al trattamento dei rifiuti (con la conseguenza che le uniche operazioni autorizzabili da parte delle Autorità di Sistema Portuale sarebbero quelle “operazioni portuali” di carico, scarico, trasbordo, maneggio e deposito di rifiuti in area portuale descritte nella Legge n. 84/1994)? L’azienda chiede di chiarire se, nell’ambito delle “operazioni portuali” (svolte da ditte a ciò autorizzate ai sensi dell’art. 16 della Legge n° 84/1994), ai sensi del rinvio fatto dall’art. 208 comma 14 del Dlgs 152/2006, si possa far rientrare anche il deposito di rifiuti in banchina in attesa dell’imbarco sulla nave e se, in tal caso, sia ancora oggi operante l’assimilazione dei rifiuti alle merci (o merci pericolose) prevista in ambito portuale ai sensi dell’art., 265 comma 2 Dlgs 152/2006.

Il Ministero della transizione ecologica risponde con riferimento al testo dell’articolo 208, comma 14 del TUA e nell’articolo 16 della legge n. 84 del 28 gennaio 1994 e chiarisce:

In analisi il Decreto del Ministero dell’ambiente del 22 settembre 2020, n. 188 (GU n.33 del 09-02-2021) che regolamenta la disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto da carta e cartone, ai sensi dell’articolo 184-ter, comma 2 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (leggi il nostro approfondimento) sul DM 188/2020).

L’istante chiede un chiarimento sulla dichiarazione di conformità alla norma UNI EN 643 per ogni lotto di materia Eow recuperate e l’indicazione dei due parametri: Componenti non cartacei; Totale materiale indesiderato.

L’accertamento vale per ogni singolo lotto? Sussiste una cadenza semestrale e al variare della qualità dei rifiuti?

L’accertamento di conformità dei requisiti di  qualità deve essere eseguito alla prima produzione di carta EoW e su tutte le tipologie prodotte come da  norma UNI EN 643 e successivamente ogni 6 mesi o al variare delle caratteristiche di qualità dei rifiuti  in ingresso o del processo produttivo.

il MiTE, rispondendo alle domande circa le diverse interpretazioni circolate sull’argomento (e riportate nel quesito della Regione Toscana) esclude che l’analisi semestrale debba essere effettuata su ogni singolo lotto di produzione “salvo che non vi siano variazioni delle caratteristiche di qualità dei rifiuti in ingresso e delle condizioni operative”.

In base all’articolo 5, comma 1, aggiunge il Ministero, il produttore di carta e cartone recuperati deve

dichiarare, al termine del processo produttivo di ciascun lotto, per come definito all’articolo 2, comma 1, lettera c), la conformità ai requisiti tecnici ai sensi dell’articolo 3 comma 1.

rilasciare le successive dichiarazioni sui singoli lotti prodotti entro sei mesi, sulla base dell’accertamento di conformità già in suo possesso, (salvo variazioni in ogni fase del ciclo produttivo, incluse quella relativa alle verifiche sui rifiuti in ingresso di carta e cartone).

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