Il packaging di moda è un nuovo lusso?

2022-09-17 05:57:00 By : Mr. Jack Jiang

Tra strategie di soft power, progetti di upcycling e dichiarazioni di appartenenza, il crescente valore di mercato delle buste firmate Chanel o Dior spinge a rivedere la definizione di branding.

Siamo tutti colpevoli. Quando compriamo qualcosa in un negozio carino, il sacchetto logato di carta spessa va subito ad accumularsi nel famigerato cassetto delle buste da cui andare a ripescare all’occorrenza, che si tratti di portare una bottiglia di vino per non presentarsi a mani vuote a casa di un amico, gettarci sbadatamente dentro il pranzo al sacco o portare i vestiti in lavanderia. Meglio una busta di Chanel che un sacco di plastica del supermercato. Soprattutto nelle grandi città non è raro vedere persone che girano con maxi buste dei marchi del lusso più patinati piene di cose che col brand in questione non c’entrano niente.

È innegabile che il logo abbia un impatto profondo sulla nostra psicologia. Il branding non serve soltanto ai marchi per plasmare un immaginario di riferimento, ma anche ai consumatori come espediente per esprimere la propria personalità e avvicinarsi il più possibile alla propria versione ideale di sé, riducendo il divario tra realtà e percezione che è spesso causa di conflitto interiore. Un logo, ovunque sia stampato, è in grado di esercitare un potere soggiogante sulla psiche umana. Usando le buste firmate per portare in giro la qualunque, più o meno consciamente comunichiamo tutta una serie di cose, prima fra tutte che siamo i tipi da potersi permettere gli articoli venduti dal marchio in questione, anzi stra-permetterseli tanto che se dobbiamo prendere a occhi chiusi una busta per trasportare qualcosa salteranno fuori solo sacchetti di Dior, Bottega Veneta e quant’altro. È un po’ come dire "ho messo la prima cosa che avevo nell’armadio" quando si indossa un look studiato nei minimi dettagli. "Ho afferrato a occhi chiusi la prima busta che avevo e, pensa, era di Gucci" può indurre il proprio interlocutore a pensare che si facciano acquisti solo lì. Di contro, può esserci anche il pensiero di non voler in qualche modo sfigurare davanti alle persone che nella nostra percezione accostiamo a un determinato ambiente, o semplicemente stiamo mettendo in atto un processo di auto-definizione, cercando di far combaciare ogni minimo tratto della nostra individualità con la una versione ideale. In ogni caso, la semplicità del gesto è spesso solo apparente. Si torna sempre allo sforzo nascosto dietro tutto ciò che nella moda vuole risultarne privo. L’effortless chic è appannaggio di pochi.

Se il dibattito tra apparenza e sostanza è sempre stato latente nelle questioni relative alla moda, i social hanno contribuito a inasprire il divario tra realtà concreta e percepita in tutti gli aspetti della vita: il famoso "Instagram VS Reality". Questa cosa dell’apparenza ci è talmente tanto sfuggita di mano che perfino il packaging di lusso, non più solo il suo contenuto, è divenuto un indicatore del proprio status. L’esempio recente più eclatante arriva dalla Cina. Costretti a un nuovo rigoroso lockdown, nella primavera 2022 i residenti di Shanghai sono ricorsi a un espediente molto originale per ostentare il proprio benessere economico: appendere fuori dalla propria porta di casa le buste firmate Louis Vuitton, Prada, Hermès contenenti i loro kit dei tamponi rapidi che gli operatori sanitari sarebbero poi andati a ritirare porta a porta per ridurre i contatti fisici. Non potendo sfoggiare il proprio stile in strada, le fashion victim hanno comunque voluto rimarcare la propria appartenenza a una nicchia. La cosa non è passata inosservata sui social cinesi come Douyin – la versione locale di TikTok – e Weibo – una sorta di Twitter – dove gli utenti si sono profusi in commenti ironici della serie "I test Covid sono così piccoli e queste borse sono enormi. Ci sono venti persone che vivono in quell’appartamento?" come riporta Insider. Eppure, scherno a parte, secondo la testata cinese Jing Daily il fenomeno avrebbe perfino generato un incremento nel valore di rivendita delle buste dei brand sul mercato second-hand. Il Beijing Business Daily a maggio 2022 riportava che il valore sull’e-commerce di usato XianYu per un sacchetto di Hermès si aggirava intorno ai $117. Anche Prada, Louis Vuitton, Chanel, Dior e Burberry sarebbero tra i brand più ricercati, anche se il primo posto sembra aggiudicarselo Bottega Veneta, la cui busta firmata sembra andare a ruba tra gli appassionati.

La presenza del packaging ha sempre contribuito all’incremento del prezzo di rivendita degli articoli di lusso, ma i valori sembrano essersi perfino capovolti tanto che l’involucro stesso è diventato quasi più importante del contenuto. Una direzione simile era già stata indicata dall’enfasi posta dai brand nel confezionare packaging ad hoc per determinate occasioni o capsule collection – pensiamo agli sfavillanti sacchi e scatole di Gucci per il Gift Giving, ai monogrammi-cartoon per la collaborazione con Doraemon o alle fantasie stagionali riprese dagli inviti delle sfilate per i capi visti in passerella –, ma anche dalla "Pradizzazione" di sottobicchieri, tovaglioli e sacchi del pane che rese virali i pattern della collezione Autunno Inverno 2021 usciti dalla mente di Miuccia e Raf. Nel frattempo su YouTube e TikTok, in pieno spirito craftcore, si è sviluppato anche il trend di dare nuova vita alle buste dei grandi marchi attraverso innumerevoli progetti di upcycling. E così le buste di carta vengono impermeabilizzate per creare a shopper riutilizzabili oppure, dai più esperti nella lavorazione della pelle, addirittura destrutturate per sfruttare solo il pattern o il logo in sofisticate borsette dal design originale.

Se da un lato i brand hanno capito ormai da tempo il valore intrinseco del packaging, un prezioso strumento per esercitare il proprio soft powerattirando nuovi adepti, a costo quasi zero per il marchio e per il cliente così entry-level da essere perfino gratuito, dall’altra i consumatori non solo stanno al gioco ma ne amplificano il potere. Sì, perché in fondo a questo punto poco importa se l’appassionato di turno si sia davvero potuto permettere o meno il proprio oggetto del desiderio, fintanto che sceglierà di girare per la città con una busta di lusso in spalla diventerà automaticamente estensione dell’universo identitario del marchio, si farà cassa di risonanza per incrementarne la desiderabilità e, in cambio, finirà per sentirsi parte di un immaginario ideale e agognato, da cui sentirsi rappresentato. Come sempre, è un do ut des, l’importante è conoscerne le regole.