Quanto tempo impiega la plastica a degradarsi? - GreenStyle

2022-05-25 09:52:06 By : Mr. Robben Duan

Se tuo figlio ti ha chiesto quanto tempo impiega la plastica a degradarsi nell’ambiente, fino a oggi la risposta sarebbe stata devastante. Questo materiale, ampiamente usato, non è infatti compostabile o biodegradabile e ci vogliono decenni se non secoli affinché si degradi in natura. Da oggi, però, possiamo dare una risposta migliore ai nostri figli.

È stato, infatti, messo a punto un nuovo sistema che sfrutta una tecnologia che permette alla plastica di degradarsi più velocemente. Non si parla più di secoli, di decenni, di anni e neppure di mesi. Ma semplicemente di giorni. Una scoperta decisamente rivoluzionaria, che vogliamo raccontarti come buona notizia della giornata. Perché quando si parla di ambiente, sappiamo quanto abbiamo bisogno di good news e non più di bad news.

Utilizzare meno plastica e riciclarla in modo corretto è fondamentale, per evitare di inquinare il pianeta con un rifiuto che impiega molto tempo a decomporsi nell’ambiente. Secondo le stime rese note di recente, infatti, una bottiglia di plastica per decomporsi in natura avrebbe bisogno di 450 anni. Quattro secoli e mezzo. E se consideriamo la mole di contenitori di questo tipo che usiamo tutti i giorni, possiamo immaginare quanto il problema sia presente e pressante. Tra un secolo la Terra potrebbe essere una landa desolata ricoperta di bottiglie di plastica.

Stessa sorte tocca ai bicchieri e piatti di plastica monouso, che impiegano 450 anni per smaltirsi. Per fortuna una legge li ha messi al bando. Va peggio per una capsula del caffè in plastica, che impiega ben 500 anni, così come uno spazzolino da denti. Male anche per le cannucce di plastica, da abolire dalle nostre abitudini, ci vogliono 200 anni per farle sparire nell’ambiente. Per un sacchetto di plastica occorrono 20 anni ed esistono già quelli biodegradabili e compostabili che possiamo utilizzare.

La soluzione per far respirare il pianeta è semplice. Usare meno plastica, riciclare e sperare che la ricerca scopra soluzioni utili a rendere la Terra sempre più plastic free. Soluzioni come quella trovata da alcuni ricercatori americani.

Se fino a oggi per decomporsi la plastica aveva bisogno di molto tempo, ecco che una scoperta di alcuni studiosi fa ben sperare per il futuro del pianeta. Un gruppo di ricerca dell’Università di Austin, in Texas, ha infatti creato un enzima che può decomporre la plastica nel giro di pochi giorni e non di decenni o secoli come avveniva prima.

Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Nature a maggio 2022, svela risultati sorprendenti, resi possibili dall’utilizzo di machine learning che hanno determinato delle mutazioni per creare una proteina che potesse agire rapidamente separando gli elementi che compongono il polietilene tereftalato (PET). Attraverso un processo di depolimerizzazione, un catalizzatore è stato capace di separare le componenti essenziali della plastica PET nei monomeri originali che si possono poi riaccoppiare per formare plastica vergine e utilizzarli per convertirli in altri prodotti.

Hal Alper, professore di Ingegneria Chimica e tra gli autori dello studio, spiega che oggi è possibile scomporre la plastica nei monomeri di partenza. Ed è il lavoro che fa l’enzima da loro creato, che riporta il materiale allo stato originale, così da avere da zero plastica riciclata senza ricorrere al petrolio per crearne di nuova.

L’enzima in questione si chiama FAST-PETase, un acronimo che sta per “Functional, active, stable, and tolerant PETase” (o PETase operativa, attiva, stabile e tollerante).

Secondo il ricercatore i vantaggi rispetto al processo di riciclare la plastica sono molti: “Se devi fondere la plastica e poi rimodellarla, il materiale perde integrità a ogni giro di riciclaggio. In questo caso, invece, se puoi depolimerizzare e poi ripolimerizzare chimicamente, di fatto produci PET vergine ogni volta”.

Molti altri studi avevano portato alla scoperta di enzimi utili a scomporre la plastica, ma molti funzionavano solo nei loro ambienti specifici avendo forti limitazioni legate alla temperatura, al pH e ad altri fattori che non li rendevano idonei per essere utilizzati, ad esempio, nei centri di riciclaggio.

Il loro enzima, invece, può arrivare a decomporre 51 tipi di PET in condizioni differenti, così da superare i limiti dei suoi predecessori.

La sua creazione è stata possibile grazie a un algoritmo che ha lavorato su 19mila strutture proteiche, a cui i ricercatori hanno insegnato a predire le posizioni degli aminoacidi in strutture non ottimizzate per l’ambiente di origine. Inoltre hanno usato formule specifiche per riorganizzare gli aminoacidi esistenti in nuove posizioni trovando le combinazioni migliori. Quella finale è in grado di mostrare 2,4 volte più attività di ogni altro enzima a 40°. Ma anche in altre condizioni ha sempre superato gli enzimi già esistenti.

Il team di ricercatori spera che questo studio possa portare molti vantaggi al pianeta, per risolvere un problema sempre più pressante come quello dell’inquinamento da plastica. Già il fatto che l’enzima possa lavorare in modo ottimale con tutta una serie di fattori differenti fa ben sperare, ma ora bisogna compiere un passaggio ulteriore. Tale scoperta deve poter essere distribuita e accessibile economicamente in ogni angolo del pianeta, anche il più remoto. Perché sappiamo che plastiche e microplastiche hanno raggiunto anche zone lontanissime della nostra Terra, territori incontaminati che ora sono contaminati da abitudini umane che il globo non tollera più.

Dovranno essere eseguiti ulteriori test su differenti tipi di PET che finiscono nelle discariche di tutto il mondo o nei contenitori della raccolta differenziata della plastica. Se dovesse funzionare con ognuno dei modelli presi come riferimento, i ricercatori sono convinti che sarebbe la soluzione definitiva al problema dello smaltimento di miliardi di tonnellate di rifiuti plastici che riversiamo continuamente nell’ambiente.

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